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Com’eri vestita?

“What Were You Wearing?” – “Com’eri vestita?”  è la mostra che racconta storie di abusi poste accanto agli abiti in esposizione che intendono rappresentare, in maniera fedele, l’abbigliamento che la vittima indossava al momento della violenza subita.

L’idea alla base del progetto è quella di sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne e smantellare il pregiudizio che la vittima avrebbe potuto evitare lo stupro se solo avesse indossato abiti meno provocanti. Da qui il titolo emblematico ‘Com’eri vestita’. I visitatori possono identificarsi nelle storie narrate e al tempo stesso vedere quanto siano comuni gli abiti che le vittime indossavano. In tale contesto si rendono evidenti gli stereotipi che inducono a pensare che eliminando alcuni indumenti dagli armadi o evitando di indossarli le donne possano automaticamente eliminare la violenza.

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La classe 3^A dell’Istituto Comprensivo “Giovanni XXIII” di Palagiano ha visitato la mostra il 27 settembre 2019. Queste le impressioni dei ragazzi:

Venerdì 27 Settembre io e la mia classe guidati dalla nostra professoressa Patrizia Gabbrielli, siamo andati ad una mostra itinerante contro gli stereotipi che colpevolizzano le vittime di stupro. Appena siamo arrivati al comune della piazza del paese, ci ha accolto una ragazza laureata in psicologia, molto gentile, di nome Rossana, che ci ha fatto leggere liberamente tutte le storie appese ai loro rispettivi vestiti. Una cosa che, a primo impatto mi ha colpito molto erano proprio gli abiti appesi. Non erano per niente "provocatori" anzi quei capi d'abbigliamento sono presenti in tutti i nostri guardaroba : felpe, maglioni, semplici jeans, e vestiti fin sotto le ginocchia. Le storie per cui ho provato tanta rabbia e disprezzo erano tre. I colpevoli di queste storie? Il collega di lavoro, lo zio e l'anziano. Il punto é che le persone di cui ti potevi fidare hanno reso la vita di tante ragazze un inferno perché fatti come questi non si dimenticano mai anche a distanza di tanti anni. Infatti, molte preferivano morire piuttosto che vivere quel calvario. E, come se non bastasse, quando le vittime vanno a testimoniare la prima domanda che a loro viene posta é "Se erano vestite inmodo strano". A me questa mostra é servita ed é stata molto interessante perché mi ha fatto essere più consapevole del fatto che al giorno d'oggi, sicuramente non bisogna trascurare tematiche importanti e delicate come questa. (Sara Fuggiano).

Tutte queste ragazze non indossavano vestiti succinti o provocanti, eppure qualcuno le ha stuprate. La mostra mi è piaciuta molto, anche perché molte ragazze hanno paura di mettere abiti succinti per paura di essere violentate e questo fa capire alle persone che non solo chi si veste così può essere stuprata, ma tutti potremmo trovarci in  quell’ orribile situazione. Questo vuol dire e vuol far capire che non è mai colpa di chi subisce, ma solo e soltanto di chi agisce, soprattutto dopo un rifiuto. La mostra mi è piaciuta particolarmente perché può far cambiare idea e far aprire gli occhi a molti e al fatto che l’ uomo, in qualche modo, deve sempre aver ragione.

Alla fine della mostra abbiamo scritto una frase su un  libro che conteneva i commenti dei visitatori: “Abbiamo appena finito di leggere le storia e dopo esserci immedesimati in esse abbiamo provato ribrezzo e vergogna per gli uomini e tanta tristezza per le donne che preferivano morire piuttosto che essere violentate. I vestiti che abbiamo trovato sono diversi da quelli che ci aspettavamo” (Federica Serra).

La mostra si chiamava “Come eri vestita?” proprio perché a queste ragazze violentate la prima domanda che veniva fatta era: “Come eri vestita?” Perché si pensava fosse colpa loro, come se con il loro abbigliamento,  le ragazze in qualche modo avessero incoraggiato i loro stupratori. Ma non è così. In questa mostra gli abiti delle ragazze stuprate erano vestiti che tutti noi abbiamo: pigiami, tute, maglioni ecc.E per quanto un abbigliamento o un modo di vestire possa essere appariscente non può essere considerato la causa della violenza. Chiedere ad una donna che ha subito violenza “come eri vestita” significa dare la colpa a lei, significa dire “te la sei andata a cercare” e, invece, non può e non deve essere così. Questa mostra mi ha fatto riflettere molto sul modi di pensare della gente, sulla loro mentalità e sui pregiudizi della società. (Luca Casulli).

Ieri 27 settembre 2019  io e la mia classe abbiamo visitato la mostra itinerante contro gli stereotipi che colpevolizzano le vittime di stupri. La mostra si è tenuta nel municipio del nostro paese. Appena arrivati ci ha accolto la signora Rossana che, gentilmente, ci ha spiegato che per ogni capo d’abbigliamento c’è una storia di stupro. Per quel che ricordo c’erano 12 capi d’abbigliamento. Il primo era un tubino nero con del pizzo. La ragazza che lo indossava stava festeggiando un esame universitario, conobbe un ragazzo e decisero di fumare una sigaretta insieme, ma  quando uscirono fuori il ragazzo le saltò addosso non facendola respirare. (Alessandra Castellaneta).

Venerdì 27 settembre, io e la mia classe, siamo andate a visitare una mostra contro gli stereotipi che colpevolizzano le vittime di stupro. Appena sono entrata, ho visto molti abiti appesi sui muri e a fianco ad ognuno di essi vi era scritta una storia. Abbiamo iniziato a leggerle. Ho letto delle storie impressionanti e ho provato tanta tristezza per le donne violentate e disprezzo per chi aveva avuto il coraggio di fare simili violenze. (Pierangela Lorè).

 

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